Daniela Sacco su Materiale per Medea, “Ravenna&Dintorni”, 25 settembre 2025
Il mito diventa linguaggio del corpo
Daniela Sacco, “Ravenna&Dintorni”, 25 settembre 2025
Contributo di Daniela Sacco attorno a Materiale per Medea in occasione dell’anteprima a Ravenna il 26-27 settembre 2025 e della Tavola Rotonda Medea: Dialoghi su una riva desolata. Un dialogo tra Anja Quickert, Daniela Sacco, Azadeh Sharifi, Agata Tomšič, coordinato da Benedetta Bronzini. In collaborazione con Goethe-Institut Mailand.
“’What’s Medea to him, or he to Medea?’
Ci prendiamo la libertà di riformulare la celebre battuta che Shakespeare attribuisce ad Amleto: “What’s Hecuba to him, or he to Hecuba?”
Ci chiediamo quindi: perché appassionarsi per Medea? Perché tornare ancora a Medea e materializzarne la presenza sulle scene? Medea è una delle protagoniste della mitologia greca che dall’antichità è stata capace di colpire l’immaginario di tutti i tempi, e, forse più di altre figure ha catalizzato l’attenzione dal secolo scorso ad oggi, si pensi ad Anouilh, Toni Morrison, Christa Wolf, Pasolini, Lars von Trier, solo per citarne qualcuno.
È il potere del mito che ne stimola la fortuna e tutte le varianti in cui trova espressione. È la natura ambivalente del mito, la polarità semantica che lo alimenta, e trova piena espressione nel teatro, in forma tragica. Una cifra questa che la contemporaneità ha la capacità più di altre epoche di cogliere, in risonanza con la sua tragicità.
Medea, come tutte le figure del mito, condensa diverse identità senza mai identificarsi univocamente: è donna, è strega, è straniera, è vittima, è carnefice. La versione del mito che ci restituisce la tragedia di Euripide, nel 431 a. C., determinandone la fortuna nei secoli a venire, la rappresenta come infanticida, posseduta dalla rabbia vendicativa contro il tradimento subito dal suo sposo. Medea è un personaggio massimamente ambivalente, madre di vita e di morte al contempo, è colei che si fa giustizia da sé, compie l’inimmaginabile per salvare sé stessa, per ritrovare la sua identità. Medea proprio in quanto figura di riappropriazione identitaria è varco a tutto quanto significa alterità, nel suo portato di fascino e pericolo. A questa alterità – chiave d’accesso del nostro contemporaneo – tenderanno molte incarnazioni teatrali del suo mito. Delle molteplici Medee che il teatro ci ha offerto, oltre a Euripide, un dichiarato riferimento per Müller sono Seneca e Hans Henny Jahnn. Una Medea totalmente estranea quella di Seneca, resa da un lirismo visionario e poetico in tutta la sua mostruosità, e una Medea nera quella della versione espressionista di Jahnn nel 1926, dove il tema della razza è motivo per attaccare l’occidente colonialista. Il teatro ‘postdrammatico’, di cui Heiner Müller è campione, raccoglie pienamente la natura ambivalente del mito, la polarità semantica di cui si alimenta; ed ha inoltre il merito di condurci a una comprensione ed uso del mito che sfugge alle maglie della mera narrazione. Il mito prima di essere narrazione è materia plastica, frammentaria, duttile alla trasformazione, e in grado di riconfigurarsi in sempre nuove costellazioni di senso, dando vita a una molteplicità di variazioni. Mito diventa linguaggio del corpo, è l’incarnazione di una energia che trova sfogo in un’azione fisica piuttosto che la sua descrizione, è immanente e vivo nel presente nell’azione scenica, e come modello di comportamento, come immaginario incarnato, il mito è via d’accesso all’animo umano nei suoi riverberi non solo personali ma anche collettivi. Così materica e vibrante è la Medea di Müller.”